Io, Io, Io!
Nostra figlia
2014-09-28 10:49:41 Stringeva forte i minuscoli pugni agitandoli al cielo, come per ringraziarlo per avergli donato la vita e, nel contempo, maledirlo per averla fatta cosi' piccola.
Aprire gli occhi al mondo con un dilemma esistenziale e' fin troppo crudele da immaginare, persino per il piu' impacciato dei genitori ed e' per questo che, le circostanze o Madre Natura, mi spinsero a condividere con lei ogni notte insonne ed ogni giorno nero.
Ma, per carita', non immaginatela come una edulcorata storia di famiglia: era delizioso veder allargarsi il suo piccolo sorriso prima di addormentarsi ma, quelle doloranti non erano le braccia di Morfeo - erano le mie, cosi' come mie erano le notti insonni. E si, quando ha imparato a camminare da se, con quella sua andatura goffa ma decisa, molte delle mie passioni si sono infrante, ammonticchiate e messe da parte. Letteralmente.
Si dice che sia il tempo a far cambiare le cose - vero. Ma e' l'amore a decidere come. E con tempo ed amore che la piccola si fece grande ed adorabile.
Grande. Com'e' relativo.
Prima di diventarlo, guardavo distrattamente e con snob gli altri genitori, che vivevano nel loro mondo elitario, con il loro gergo e la loro stereotipata catena di comando - che siano in televisione, con i loro copioni precisi e misurati, o ad un bar, dove il massimo era una butade su quello che andava di moda quel giorno.
Ma se c'era una cosa che mi mandava in bestia era il loro errato uso della parola "grande". "Guarda, e' proprio grande!". "E' proprio diventata grande, una signorina!". "Potrai farlo solo quando diventerai grande."
Abbandona il pannolino? E' diventata grande. Comincia a camminare? E' diventata grande. Parla? Grande.
Da arcigno puntiglioso della logica e schematizzatore dell'umanita', la mancanza di "piu'" davanti a "grande" mi appariva come un grave errore, in quanto eliminava quel senso di progresso, continuando a dare la stessa etichetta a tappe molto distanti di un cammino e dando la percezione - in realta' - di rimanere immobili.
Poi capii. Quando la vidi soffiare le prime candeline. Anche se ogni progresso era notevole, la grandiosita', la meraviglia ed il senso di appagamento del traguardo era uguale anno dopo anno.
Era grande. Ogni volta.
Finche', un giorno, si accorse del trucco e decise che era grande abbastanza.
Abbastanza da diventare se stessa e da poter finalmente risolvere il primo grande dilemma della sua vita: era arrivato il momento di ringraziare il cielo per avergli dato vita.
E, con un sorriso, strinse un'altra mano e se ne ando'. Raggiunse un manipolo chiassoso di altri come me (o com'ero?) proprio dopo il portone di casa, mi fece un sorriso, una promessa e spari' in un'automobile.
Mi concessi pochi secondi per immaginare la sua vita dall'accensione di quell'auto sino all'ultimo dei suoi giorni, per potermi costruire qualcosa del quale augurarmi.
E desiderai per lei che trovasse qualcono meglio di me, o alla peggio come me, con il quale continuare a crescere. Che cambiasse il mondo o - se proprio non fosse stato possibile - cambiasse il mondo di chi ne ha bisogno. Che possa sentirsi come avrebbe sempre voluto essere - e forse che desideri di essere cosi' come l'ho sempre immaginata.
E che forse, il giorno in cui vorra' ringraziare qualcuno, ringrazi anche me - anche senza pronunciare il mio nome.
Cosi' accostai la porta, mi tuffai sul divano e, sorseggiando un caffe', sorrisi al pensiero di come e' magnifico essere genitori di un'idea.
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