PC/Mac

Non e' stata una dimenticanza quella di non assegnare nessun voto al gameplay. Gone Home si sviluppa come esplorazione pura e semplice, in cui le uniche interazioni sono il muoversi della protagonista all'interno della villa di famiglia alla quale e' appena ritornata e il suo raccogliere oggetti e documenti lasciati dai genitori e dalla sorella Sam. Ma il centro del gioco e' proprio nell'esplorazione e, attraverso di essa, nella progressiva ricostruzione e definitiva comprensione di tutti gli elementi che la storia vuole raccontare. Non serve gameplay, ma e' essenziale lo stile e le strategie narrative scelte capaci di ammaliare, incuriosire, preoccupare e emozionare il giocatore (sarebbe preferibile usare "lo spettatore") fin dai primi istanti di gioco. Un titolo molto interessante e ben costruito, che dimostra come sempre piu' spesso il canale indie puo' essere usato come sperimentazione di nuove strategie e di nuovi generi. Forse perche' le aspettative di giocabilita' e di longevita' dei giochi da parte della nicchia di giocatori indie non sono rigide come quelle applicate ai titoli AAA e perche' si e' piu' aperti alla novita' e alla sperimentazione anche quando non del tutto riuscita (non mi riferisco a Gone Home)? Se cosi' fosse la colpa della "apparente" poca originalita' dei titoli tripla A non dovrebbe essere data esclusivamente al poco coraggio degli sviluppatori, ma anche al diverso atteggiamento dei giocatori (siano o no gli stessi) rispetto ai due canali di diffusione.

Gone Home e' di certo un gioco particolarissimo, qualcosa che potrebbe vivere solo nel mondo dei giochi indipendenti - nel bene e nel male, che siano beati gli indie. Al giocatore non viene chiesto di sparare o di saltare. Al giocatore, a dire il vero, non viene nemmeno chiesto di risolvere puzzle o di trovare un'uscita. Al giocatore viene invece chiesto di scoprire la storia che Gone Home vuole raccontare, una storia che si e' consumata nella casa nel quale il giocatore si muovera' e che, all'inzio del gioco, si e' gia' conclusa. Una storia dura ed intrigante, fatta di personaggi vividi e ormai lontani, raccontata da cio' che hanno lasciato in quella casa, da un libro fuori posto a una foto, e che si concretizza nella sua interezza soltanto nella fantasia di chi gioca. Ma cio' che sorprende e' come, in questa assenza di gameplay - intendendolo come l'insieme dei requisiti imposti da un gioco e le interazioni con il quale il giocatore li soddisfa - che indubbiamente nega a Gone Home la natura di videogioco nell'accezione classica del termine, si sia ottenuta un'esperienza tutt'altro che sperimentale o artificiale ma piuttosto una incredibilmente realistica ed inedita: l'esplorazione di un luogo vuoto racconta sempre, in qualche modo, la storia di chi vi ha vissuto grazie ai dettagli - come lo studio dei reperti storici ci ha dimostrato - senza bisogno di cutscene, di salti acrobatici e sparatorie - insomma, senza bisogno di essere stati parte di quella storia e questo gioco ci fa vivere l'emozione di ricostruire il passato attraverso segni. Un'esperienza che rende Gone Home molto simile a Papers, Please e che, allo stesso modo, dimostra come il videogioco stia da tempo troppo stretto nel suo stesso termine.